Oltre alla consulenza societaria e fiscale, la professionalità di Alessandro Mosconi è al servizio delle crisi d’impresa e del supporto alle start up. «Oggi in Italia, per avviare una nuova attività, gli imprenditori devono essere dei… braveheart»
«I condoni? Non sono assolutamente d’accordo. Ma bisogna fare distinzioni. Il nemico numero uno degli imprenditori – che spesso si aspettano soldi a fondo perduto senza fare progetti di ampio respiro e concreti – è la burocrazia. Ma per non essere vittime del “tutto e subito”, occorre una forma mentis adeguata».
Così Alessandro Mosconi (Bologna, 1964), un diploma in Ragioneria, una laurea in Economia e Commercio che ha preso senza essere “figlio d’arte” né aver mai sognato da ragazzino di stare dietro ad una scrivania ad occuparsi di adempimenti fiscali. Oggi è diverso e della sua attività sembra molto soddisfatto. Certo, ci sono luci e ombre.
«A rendere interessante questo lavoro – afferma – la necessità di risolvere questioni spesso complicate. Devi essere dotato di spiccate qualità innovative e problem solving per fare il commercialista. L’aspetto pesante sono le inutili e ripetute scadenze per adempimenti burocratici che poco spazio dovrebbero trovare nel lavoro. Le difficoltà maggiori sono nella gestione del tempo e delle priorità delle cose da fare. Se non hai una forma mentis adeguata, diventi vittima del tutto e subito e perdi la bussola sulle attività strategiche, le cose importanti e le attività in scadenza».
E lui la capacità di tenere la barra dritta e non essere travolto dalle incombenze e dalle date, se l’è formata all’estero.
«Ho avuto la possibilità di approfondire gli studi di lingua inglese in California a Berkeley ed è stata un’esperienza molto interessante non soltanto per gli studi, ma anche per l’approccio mentale-metodologico alla vita, in genere, e a quella lavorativa, che ho appreso. Avevo professori che insegnavano inglese commerciale la mattina e si occupavano di finanza il pomeriggio presso importanti realtà aziendali. Senza avere preconcetti».
Torniamo alla sua attività. Le nuove tecnologie negli anni avranno alleggerito il lavoro.
Certo. E l’importante è utilizzarle per implementare la propria attività. Occorre, però, avere tempo ed interesse per applicarle.
Cosa ha scoperto in tanti anni di attività?
Mi sono reso conto che molto spesso la tua voglia di fare, progredire, cambiare, sentirti parte di qualcosa si scontra con la mediocrità diffusa, la burocrazia inutile e l’invidia di persone grette e piccole che alcune volte occupano ruoli e hanno posizioni in organizzazioni assolutamente immeritati. In poche parole ho preso atto della mancanza di meritocrazia che governa ogni aspetto della vita lavorativa.
Qual è secondo lei l’errore più grande che fanno da noi gli imprenditori?
Parto subito con una premessa: fare impresa in Italia oggi è diventato davvero difficile per vari motivi e quindi quando incontro imprenditori che vogliano partire con nuovi business o attività, penso dentro di me che siano veramente eccezionali. Dei… “braveheart”. Detto ciò, penso che l’errore principale sia di strategia di analisi. Nessun imprenditore o pochi imprenditori impostano l’attività da intraprendere, facendo dapprima un’analisi SWOT o un business canvas che sembrano attività banali, ma tali non sono. Anzi, andrebbero sempre riviste nel corso della vita aziendale. Altro errore in fase di partenza start up è di sperare di ottenere aiuti/finanziamenti/soldi a fondo perduto senza aver un piano presentabile, un benché minimo capitale iniziale, un’idea-progetto realmente concreti e fattibili da sviluppare. Si pone spesso troppa attenzione al tipo di società da costituire, alle imposte, agli adempimenti senza curarsi di altri aspetti ben più stringenti tipo: Qual è il mio mercato? Chi sono i miei competitor? A chi mi rivolgo? Chi sono i miei potenziali clienti? Se voglio produrre un bene, quanto mi costa, a che cifra posso venderlo e qual è il mio margine? Per quanto riguarda, invece, le imprese già costituite e attive da tempo, noto più un problema di mentalità.
Cioè?
Molti mi dicono: abbiamo sempre fatto così, perché devo cambiare? Questo è l’errore principale sotto i miei occhi e, in un mondo del lavoro che cambia molto velocemente, si rischia di non essere competitivi. Altro errore: nei momenti di crisi o difficoltà, tagliare le spese di pubblicità/marketing/ o dei venditori è un vero autogol. Tali comportamenti sono molto difficili da modificare soprattutto nel nostro sistema imprenditoriale, costituito perlopiù da aziende molto piccole e con struttura famigliare. In ultimo, è la burocrazia il nemico principale. È un costo fisso, certo e indeducibile, che si traduce in una perdita di competitività. Realmente percepito ogni giorno da imprese e cittadini. Legate a doppio filo al tema della burocrazia ci sono le imposte, che per le imprese/società sono più o meno in linea con quelle di molti Paesi europei.
Ma?
Con una grossa differenza che sta nelle modalità di pagamento, nelle innumerevoli scadenze. Si ritorna alla burocrazia!
Come dovrebbe essere un fisco più equo e capace di far crescere le imprese?
Proporrei subito l’abolizione dell’Irap e il taglio drastico del cuneo fiscale. Questo inciderebbe sui costi aziendali. Ci sarebbero più soldi netti nella busta paga dei lavoratori.
È favorevole ai condoni?
No, non sono favorevole ai condoni, ma con un distinguo. Se il condono riguarda coloro che hanno debiti con ex Equitalia, tanto per intenderci, ritengo sia opportuno fare un ragionamento. Chi ha questi debiti non è un evasore. Ha dichiarato le imposte, presentato la dichiarazione dei redditi, ma non ha pagato oppure ha pagato parzialmente per i più svariati accadimenti. Se sono un imprenditore, un’azienda che non hanno evaso alcunché, visto il quadro macroeconomico attuale, ritengo opportuno un saldo-stralcio non solo di sanzioni, interessi e aggi, ma anche del dovuto.
Le è mai capitato di seguire imprenditori vicini al fallimento? Che ha fatto in quei casi?

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Sì, mi è capitato e sono sempre momenti delicati. Le principali avvisaglie sono le difficoltà di pagamento dei fornitori o l’incasso dai clienti, del versamento delle imposte e dei contributi. Buona regola è dotarsi di strumenti idonei a intercettare tempestivamente i segnali della crisi. Serve avere sempre una situazione aggiornata dell’azienda in termini di costi/ricavi – incassi/pagamenti – crediti/debiti non solo per verificare il presente, ma per misurare se l’attività nel prossimo futuro sia in grado di sostenersi e andare avanti. Oltre a seguire l’aspetto quantitativo, cioè i numeri, bisogna anche monitorare l’aspetto qualitativo, i rapporti interni tra la direzione e il personale, che va coinvolto. Occorre che il cliente sia soddisfatto. Servono la formazione continua del personale e dei manager, l’utilizzo di fornitori strategici e non strategici, che siano affidabili in termini di consegne. Quindi numeri e qualità vanno di pari passo.
Chi sono e quanti sono i suoi clienti? So che seguite degli startupper: come mai c’è un proliferare di start up, che spesso muoiono precocemente?
I miei clienti sono perlopiù della mia regione, l’Emilia-Romagna, o del Nord Italia, ma con attività sia in Italia che all’estero. Le start up le supportiamo sia nell’individuare il settore e il business innovativo e sia nella ricerca di finanziatori. Se l’idea è innovativa, concreta e fattibile tecnologicamente, penso che si trovino finanziatori disposti.
Quanto fa questo Paese per i giovani che magari hanno idee, ma non risorse?
Molto poco, quasi nulla!
Cosa consiglia a chi voglia seguire la sua strada? Occorre avere delle doti particolari?
Passione, determinazione e perseveranza. Come per qualsiasi attività.