Si definisce un consulente in evoluzione, appassionato di informatica e stanco di una visione ragionieristica della contabilità. Grazie alla Business Intelligence, Alessandro Sandri ha sviluppato una soluzione unica e innovativa capace di trasformare le fatture elettroniche in informazioni strategiche e aggiornate per l’impresa.
Alla liquidazione periodica dell’Iva preferisce la digitalizzazione dei processi e l’automatizzazione delle informazioni. Nato nel ‘78 a Cologna Veneta (Verona), dopo la maturità scientifica (all’epoca era stato attivato un indirizzo sperimentale con più ore di Fisica e Informatica e un Turbo Pascal come compilatore di programmi) Sandri ha seguito le orme dei genitori, commercialisti anche loro. Ma con un sogno: «Desideravo essere commercialista, ma cercando di concentrarmi sulle cause che spingono un capo d’azienda a prendere alcune decisioni e sulle loro ripercussioni a livello economico e finanziario. E questo perché l’esistenza di ogni azienda è fondata sulle risorse economiche e monetarie che si è in grado di generare in futuro, non su quelle disponibili oggi».
Hai avuto in questi anni come commercialista l’opportunità di seguire questi aspetti?
Beh, sì. Intanto ho fatto il commercialista e continuo a farlo, seguendo due filoni. Da una parte, mi occupo degli adempimenti obbligatori imposti dal Codice civile e dalle leggi tributarie (tenuta della contabilità per conto dei clienti, predisposizione di bilanci e loro deposito, dichiarazioni dei redditi). Dall’altra, offro consulenza su temi vari, legati alla migliore configurazione della struttura societaria con cui condurre un’attività, oppure – e sono quelli che preferisco – alla pianificazione futura, con focus sui flussi di cassa, e alla costruzione di sistemi di Business Intelligence.
Cosa stai apprendendo dal rapporto con gli imprenditori?
L’importanza dell’accuratezza dei dati e delle loro fonti, ma anche quanto sbagliato sia considerare la contabilità come unico supporto per valutare i risultati dell’azienda. Credo molto nel processo di innovazione che si sta facendo largo anche tra la nostra professione e che passa attraverso la digitalizzazione.

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La tua passione per i linguaggi di programmazione ti ha spinto, negli ultimi anni, a realizzare strumenti applicativi che aiutano i tuoi clienti. Ci spieghi di che si tratta?
Ogni imprenditore deve guardare al futuro poiché là si trovano le opportunità e così si anticipano i rischi. Ma per farlo bene non può non conoscere il presente e il recente passato. L’oggi è costituito da clienti, articoli, mix di vendite, marginalità delle vendite, aree geografiche: tantissime informazioni già presenti in qualsiasi impresa, ma disperse e non organizzate. Talvolta c’è l’illusione che siano organizzate, dal momento che è disponibile una certa quantità di tabelle con infinite righe e chissà quante colonne. Ma, chi le legge? E soprattutto: quanto tempo si impiega e quante informazioni utili si raccolgono? Ho sviluppato un’applicazione, XML BI, che raccoglie in automatico tutte quelle informazioni in un unico contenitore, e le trasforma in report navigabili e interattivi, dai quali emergono quegli indicatori che dovrebbero far scattare un campanello di attenzione. Senza aspettare tanto, e senza impiegare personale per aggiornare la contabilità!
Come funziona l’app?
Nessun indicatore? Allora tutto bene. Ne vedo invece qualcuno? So già dove intervenire. Un esempio semplice: fatturato gen-ago 2022 in crescita del 7% rispetto al periodo gen-ago 2021. L’imprenditore – ma anche un ragioniere – direbbe bene. Io pongo un dubbio, che va verificato: quanti clienti del periodo 2021 non hanno più fatto ordini nel 2022? Qualora ce ne fossero, il 7% di aumento in realtà nasconde una perdita di attrattività che va indagata. Con la mia invenzione do la possibilità di conoscere e governare, anche in frazioni inferiori al mese, tutte quelle informazioni che sono vitali per conoscere l’evoluzione dell’impresa: informazioni di prima mano e tempestive che nascono proprio dall’area commerciale, il traino e il primo indicatore di possibili scenari futuri per l’impresa.
Chi sono i tuoi clienti?
Imprese mediamente strutturate, alcune con contabilità interna, altre invece presso il commercialista, con fatturato tra 3 e 10 milioni di euro, e con dipendenti tra le 20 e 50 unità. Sono localizzate tra le province di Verona e Vicenza. Ma anche commercialisti che utilizzano in licenza XMLBI per i loro clienti.
Hai fondato Ad Meliora. Ti aiutano Mattia Varotto e Sara Bellini
Sì, con competenze distinte: io mi occupo dello sviluppo dell’applicativo in Python, Sara cura la costruzione e l’aggiornamento dei report in PowerBI. Con Mattia affianco l’imprenditore nell’utilizzo dei report periodici per attivare decisioni consapevoli. Con i nostri servizi, la piccola impresa è in grado di avere processi informativi e decisionali – tipici di aziende managerializzate – ma adeguati, anche in termini di investimento, alla propria dimensione. La digitalizzazione fa quasi tutto: dal reperimento dei dati, passando dalla loro aggregazione e trasformazione, fino alla loro fruizione. Si riducono i tempi dall’informazione all’azione e non c’è bisogno di distogliere le persone dai loro compiti. L’imprenditore può disporre dei report da qualsiasi posto: in ufficio, in viaggio, da clienti.
A che serve oggi avere un commercialista? E soprattutto, a chi serve?
Un commercialista oggi è necessario a qualsiasi imprenditore. L’intreccio delle norme tributarie, nonché la cadenza ormai quindicinale di adempimenti imposti dallo Stato, rendono obbligatorio avere una figura esterna per assicurare la conformità alle leggi e evitare sanzioni. Ma questa è un’ottica di obbligo non richiesto. Come ha correttamente descritto un collega in una rivista specializzata, è un rapporto a tre: il cliente paga il commercialista per adempimenti richiesti dallo Stato. Il commercialista, invece, può diventare un ottimo consulente, e quindi utile, quando l’imprenditore prende coscienza che le decisioni aziendali si fondano su informazioni strutturate e preparate da chi ha competenza tecnica, andando oltre l’ambito ragioneristico. Il commercialista non prenderà mai decisioni al posto dell’imprenditore, ma potrà metterlo nelle condizioni – informative – per adottare le scelte migliori.
Come il commercialista deve evolversi per prepararsi al futuro?
Per essere un attore incisivo, il commercialista deve superare la percezione di essere un tuttofare di fronte al cliente. Per riuscirci, occorre ritagliarsi, senza rinnegare il resto, un ambito specialistico e offrire alle imprese la propria presenza costante, ma non giornaliera – in qualche caso nemmeno settimanale – rappresentando così una specie di funzione aziendale esternalizzata. È ciò a cui stanno facendo ricorso aziende di maggiori dimensioni – con decine, se non centinaia, di milioni di fatturato – tramite la figura del fractional manager, sempre in costante aumento. Ecco, il commercialista potrebbe diventare una figura simile, con adattamenti, nei confronti delle piccole imprese per le quali l’investimento in un fractional manager sarebbe sovradimensionato.
Ti è mai capitato di guidare un’azienda in crisi?
Ricordo un paio di volte, in particolare. Parliamo sempre di imprese piccole, dove il titolare decide da solo, senza momenti di confronto per decisioni fondamentali. In entrambi i casi i titolari percepivano il sintomo della crisi – era già tardi, cioè la liquidità disponibile era già troppo scarsa – ma non accettavano che la causa della crisi fosse all’interno dell’azienda. In realtà era all’interno del loro processo di valutazione delle informazioni e, quindi, decisioni. Il mio obiettivo era proprio far comprendere loro che, per quanto doloroso (o umiliante) fosse, una volta identificata la causa, avremmo potuto, non senza difficoltà, sia chiaro, valutare le possibili soluzioni. Mi hanno abbandonato dopo che un collega li aveva rassicurati con “non preoccupatevi, una soluzione la troviamo di sicuro”. Da lì a poco hanno cessato l’attività.
La qualità che deve avere oggi un commercialista?
Essere empatico, per quanto detto prima. Comprendere i processi all’interno dell’azienda, poiché la quotidianità dell’imprenditore va ben oltre l’unico processo con cui il commercialista è abituato a confrontarsi, che è quello di gestire le fatture e aggiornare le partite contabili. Gli scenari futuri, in termini economici e finanziari, possono essere valutati, se c’è una conoscenza trasversale dei processi.
Un tema molto “caldo” è il fisco: cosa si aspetta dal nuovo esecutivo che possa aiutare il tessuto produttivo italiano e il Paese in genere?
Purtroppo le riforme fiscali utili a favorire l’attività d’impresa si muovono nel verso opposto rispetto all’esigenza di fare cassa, tipica di uno Stato con una spesa pubblica enorme. Da una parte, sono del parere che chi fa attività d’impresa dovrebbe subire una tassazione inferiore rispetto al lavoratore dipendente, poiché i risultati realizzati sono il frutto di grandi rischi e responsabilità da parte dell’imprenditore. Il dipendente rischia meno ed è più tutelato – si pensi a malattia e pensione – giusto per citare solo un paio di aspetti. D’altra parte, non mi nascondo dietro un dito: l’evasione arriva principalmente da chi fa impresa e la motivazione principale è spiegata con tasse troppo alte. In realtà, il problema non sta tanto nel fatto che siano alte, ma che giungano per ultime, nell’estate dell’anno successivo. In quel momento l’imprenditore avrà già speso – o investito – la liquidità disponibile. Pertanto, riuscendo a trovare un modo per far versare le imposte ogni tre mesi, si potrebbe recuperare in modo indiretto anche molta evasione fiscale, poiché le tasse sarebbero percepite come meno alte. In realtà, una soluzione simile è già stata imposta alle imprese edili: subiscono una ritenuta dell’otto per cento relativo ai lavori che beneficiano delle detrazioni fiscali per il recupero edilizio e a giugno pagano meno imposte.