Mentre le operazioni militari in Ucraina non sembrano vicine a fermarsi, il FMI rivede al ribasso le previsioni di crescita economica globale.
La guerra fa male a tutti.
E oltre a procurare nuovo orrore e distruzione, lo scenario che si prospetta rischia davvero di sconvolgere l’assetto mondiale e avere ripercussioni pesantissime anche sulle nostre vite.
Ma ciò che traspare in modo drammatico è che in pochi stiano davvero cercando la pace nella martoriata terra ucraina. Di certo non i due contendenti, che continuano a combattersi sul campo e a scambiarsi accuse pesantissime.
Ma nemmeno da Stati Uniti e Unione Europea arrivano segnali di distensione. La fine del conflitto sembra insomma sempre più lontana.
Per tanti imprenditori, che avevano ripreso slancio con il rallentamento delle misure anti-Covid, tornano a regnare paura ed incertezza.
Una situazione da monitorare con grande attenzione, anche sul fronte del debito fiscale.
I termini delle scadenze della rottamazione ter, riaperti con il nuovo decreto sostegni di marzo, sono alle porte. Ma se non c’è crescita, come possono fare gli imprenditori a recuperare le risorse necessarie a farvi fronte?
Le previsioni del FMI: crescita in brusca frenata
La crescita rallenterà a livello globale. Lo conferma il Fondo Monetario Internazionale nel World Economic Outlook aggiornato in occasione delle assemblee primaverili.
Le stime sono pessimiste a livello globale: la guerra colpisce prima di tutto i due paesi coinvolti, Russia e Ucraina, con una drastica revisione al ribasso per la loro economia.
Ma a risentire del conflitto sono anche i paesi dell’Eurozona, soprattutto Italia e Germania a causa della loro forte dipendenza dalle importazioni di energia dalla Russia.
Quest’anno il Fmi si attende una crescita del PIL in Italia del 2,3%, dopo il rimbalzo del 6,6% del 2021 seguito al crollo del 9% del 2020, causato da lockdown e misure restrittive anti Covid.
Sul 2023, secondo le cifre aggiornate nel World Economic Outlook, il Fmi prevede un più 1,7%.
Si tratta, rispettivamente, di tagli di 1,5 punti e 0,5 punti rispetto alle previsioni effettuate lo scorso gennaio.
Il Fmi prevede che l’Italia segua un percorso di leggero e graduale miglioramento dei conti pubblici, ma con alcune revisioni in peggio rispetto alle stime precedenti.
Il debito pubblico nel 2020 era salito al 155,3% del PIL e lo scorso anno si era già attenuato al 150,9%.
Quest’anno, secondo il Fmi, risulterebbe quasi invariato al 150,6%, per poi limarsi al 148,7% nel 2023.
L’inflazione galoppa su livelli mai visti negli ultimi 40 anni
Inflazione in forte accelerazione quest’anno in Italia.
L’istituzione di Washington prevede che sulla media di quest’anno l’inflazione raggiunga il 5,3%, a fronte dell’1,9% dello scorso anno e di un valore addirittura negativo, il meno 0,1% nel 2020 di shock all’economia a seguito di lockdown e misure anti Covid.
Su questo punto si gioca una partita molto delicata e le preoccupazioni sono molto forti.
Negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei, fra cui l’Italia, ha raggiunto i livelli più elevati da oltre quarant’anni, in un contesto di mercati del lavoro tirati.
Secondo il FMI esiste un crescente rischio che le aspettative di inflazione deraglino, portando a una risposta di inasprimento più aggressiva da parte delle banche centrali.
E c’è un altro elemento che genera tensione: nei mercati emergenti in via di sviluppo, gli aumenti di alimentari e carburanti (o peggio la loro carenza) possono aumentare notevolmente i rischi sociali.
Cosa farà il Fisco rispetto a questo nuovo scenario?
Come si comporterà il Fisco italiano di fronte a questo nuovo scenario in cui la crescita subirà una brusca frenata?
Difficile a dirsi. Qualche mese fa, in un contesto che forniva segnali di ripresa, l’intenzione era chiara: fine della pace fiscale e prepotente ritorno ai livelli di riscossione pre-Covid.
L’obiettivo dichiarato era mettere in cassa oltre 18 miliardi di euro dagli imprenditori, ripartendo con l’invio degli atti alle migliaia di contribuenti con debiti fiscali in sospeso.
Poi è arrivato il decreto sostegni ter che ha riaperto i termini della rottamazione-ter, congelando di fatto l’avvio delle azioni esecutive.
Ma le scadenze tremendamente ravvicinate (2 maggio-1 agosto e 30 novembre) non promettono nulla di buono.
Ad oggi, sappiamo che il 43% degli imprenditori, che avevano aderito alla rottamazione ter, non sono riusciti a saldare il proprio debito nel dicembre 2021.
A ciò si aggiungono i tanti morosi (e già decaduti) per il 2020 e quelli che nel 2022 non saranno in grado di onorare le proprie scadenze.
Questo ci fa capire che la crisi fiscale per le imprese è un argomento all’ordine del giorno e, ancor più, nei prossimi mesi.
Il nuovo Codice della crisi d’impresa
Il prossimo 16 maggio (si attende una miniproroga, l’ultima, al 15 luglio 2022) entra in vigore il nuovo codice della crisi d’impresa.
E’ una svolta, perché d’ora in avanti l’imprenditore avrà il dovere di istituire un assetto aziendale soprattutto in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa.
Con essa anche dell’eventuale perdita della continuità aziendale.
L’imprenditore dovrà attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.
Il nuovo Codice della Crisi non lascia spazio ai fraintendimenti.
Questo perché, fini della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa, le misure per gli imprenditori devono consentire di:
- rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario;
- verificare la non sostenibilità dei debiti e l’assenza di prospettive di continuità aziendale;
- l’avvio della Composizione negoziata della crisi o, con debiti più importanti, il nuovo Concordato preventivo con Transazione Fiscale.
Se prima le scelte erano demandate alle imprese grazie al “silenzio” delle norme, ora gli imprenditori non hanno scampo devono agire e scegliere come curare i propri debiti specialmente di grossa entità con Fisco/Previdenza/banche, ecc.