Crescono in modo esponenziale gli italiani che credono nelle criptovalute.
Una ricerca condotta su un campione di consumatori generalista ha indagato sul livello di fiducia nelle criptovalute in Italia e ha rivelato che, un italiano su tre, è convinto che avranno un impatto positivo nella nostra società.
Secondo il campione analizzato, un italiano su quattro (25%) ha investito in criptovalute e il 61% di chi le possiede sta pianificando di aumentare il proprio investimento.
Inoltre, il 12% di chi ancora non si è avvicinato a questo mercato dichiara di volerle acquistare nei prossimi dodici mesi.
Un trend che ha visto una crescita più rapida negli ultimi anni: il 55% di chi ha comprato criptovalute, lo ha fatto dal 2019 in poi.
Un dato, questo, che potrebbe in parte spiegare il gap ancora esistente tra la conoscenza delle criptovalute e quella relativa agli asset più tradizionali.
Una criptovaluta è un tipo di moneta digitale creata attraverso un sistema di codici e funzionano in modo autonomo, al di fuori dei tradizionali sistemi bancari e governativi.
Utilizzano la crittografia per rendere sicure le transazioni e regolamentare la creazione di unità supplementari.
Cripotovalute e Fisco, attenzione a non sottovalutare il fenomeno dichiarativo
Il rischio, però, è quello di sottovalutare il fenomeno dichiarativo. Sarebbe un grave errore.
L’Italia, infatti, è stato uno dei primi paesi a legiferare in ambito di monete virtuali per quanto riguarda la disciplina antiriciclaggio, ed esiste una prassi amministrativa che si sta stratificando nel nostro tessuto giuridico.
L’articolo 4 del decreto legislativo 167/ 90 precisa che le monete virtuali vanno dichiarate in quanto attività di natura estera, e obbliga i possessori di tali attività ad indicarle nel quadro RW della dichiarazione dei redditi che ogni anno dobbiamo presentare.
Tradotto, vuol dire che se possediamo moneta virtuale siamo obbligati a fare il monitoraggio fiscale, cioè comunicare all’amministrazione finanziaria che abbiamo delle attività estere o di natura estera, come le criptovalute, suscettibili di produrre un reddito imponibile.
E se le nostre criptovalute non producono plusvalenze? Il discorso non cambia, in questo caso il monitoraggio fiscale non comporta il pagamento di alcuna imposta.
Avere in portafoglio criprovalute obbliga a pagare tasse?
È giusto fare una precisazione: dichiarare di possedere criptovalute non obbliga necessariamente il pagamento di tasse.
Ma attenzione.
Se all’interno dei nostri wallet, cioè nel nostro portafoglio elettronico, la giacenza è superiore a 51.645,69 euro per 7 giorni consecutivi, siamo obbligati al pagamento di un’imposta sostitutiva del 26% in caso di prelievo.
Non dichiarare le proprie monete virtuali equivale a commettere un reato, che a seconda della gravità dell’illecito, può essere di tipo amministrativo o penale.
Attenzione a non dichiarare le criptovalute, può diventare reato
Il mancato monitoraggio fiscale può determinare una sanzione che va dal 3 al 15% dell’importo non dichiarato del valore finale. Oppure, dal 6 al 30%, se siamo in situazioni di blacklist oppure paradisi fiscali.
La Guardia di Finanza ha già iniziato un’attività di controllo per contrastare fenomeni di riciclaggio, cioè il reimpiego di redditi non dichiarati in attività finanziarie.
Questo per verificare che gli investimenti in moneta virtuale siano realmente presenti nella dichiarazione dei redditi del contribuente.
Di notevole importanza è il ruolo svolto dal registro degli operatori in criptovalute istituito in Italia nel 2022, che segnala alla Guardia di Finanza le generalità e l’ammontare di quanto transato dal contribuente.
E se le informazioni non corrispondono, il contribuente è obbligato a chiarire la propria situazione alla Guardia di Finanza.
Un altro errore da non sottovalutare è dichiarare solo in parte le proprie criptovalute. Anche in questo caso, si commette un illecito, che a particolari condizioni può divenire reato.
Criptovalute e Fisco, un professionista competente per aiutarti a uscire dai guai
Un altro buon consiglio è di tenere sempre traccia di quello che facciamo.
Come? Magari stampando periodicamente dagli Exchange la reportistica delle operazioni o utilizzando un file Excel dove annotare tutte le nostre attività in criptovalute.
È il modo migliore per proteggersi da eventuali verifiche future perché i controlli delle autorità fiscali vanno indietro di molti anni e potrebbe diventare un problema tenere a mente operazioni portate a termine molto tempo prima.
Ecco perché affidarsi ad un professionista competente ed abilitato alla difesa tributaria diventa di fondamentale importanza.
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