Vi sono molti esempi di costi ritenuti antieconomici dal Fisco e che di conseguenza diventano oggetto di contestazione da parte di Agenzia delle Entrate. Uno di questi riguarda la deducibilità del canone di locazione nel caso in cui l’ufficio di un libero professionista o di un imprenditore risulti di proprietà di una società immobiliare facente capo a lui stesso e a sua moglie.
Deducibilità del canone di locazione, si può fare?
È una prassi diffusa quella riguardante la costituzione di una società immobiliare da parte di soggetti legati da vincolo di parentela, al fine di acquistare l’immobile che utilizzeranno, tutti o alcuni di essi, come studio professionale.
In questo caso, la società emette periodicamente fattura per il canone di locazione, deducibile dal reddito dei singoli professionisti nel rispetto del principio di cassa.
Nell’avviso di accertamento Agenzia delle Entrate gli ha contestato la deducibilità dei canoni di locazione, chiedendo la restituzione di tale somma oltre alle sanzioni di legge.
Presunto abuso di diritto, ecco come difendersi
Secondo l’Amministrazione finanziaria, l’operazione si presenta sintomatica di abuso del diritto, trattandosi di una tecnica, sebbene lecita, priva di rilevanza economica e idonea e/o funzionale a realizzare vantaggi fiscali indebiti rappresentati, nello specifico, dall’utilizzo dello schermo societario per usufruire di agevolazioni d’imposta.
Che cosa si può fare per opporsi a questa contestazione?
Si può percorrere la strada del contenzioso per evidenziare che:
- la scelta di attuare tale operazione non è stata dettata esclusivamente dal conseguimento di un vantaggio fiscale.
- Non si può in alcun modo ritenere che vi sia stata elusione per il solo fatto che vi fosse un rapporto di natura familiare tra i soggetti coinvolti nell’operazione.
- Un professionista, ed eventualmente i suoi familiari, è libero di comprare l’immobile ove verrà svolta l’attività professionale di uno di essi, utilizzando una società da loro formata, anche e solo per il fine di diversificare gli investimenti familiari e separare un capitale dal lavoro svolto.
Insomma, anche se l’Agenzia delle Entrate muove al contribuente la contestazione di aver adottato un comportamento elusivo e, dunque, un abuso del diritto, è sempre possibile difendersi in modo efficace.
Risparmio d’imposta, un diritto sacro per il contribuente
Ricordiamo, tra l’altro, che molto spesso l’Amministrazione finanziaria non riconosce all’imprenditore il “sacro” diritto al “legittimo risparmio d’imposta”. Infatti, il Fisco dovrebbe considerare che la componente “fiscale” è una variabile “economica” che l’imprenditore è tenuto necessariamente a valutare in ogni sua scelta gestionale.
In altri termini, l’Amministrazione finanziaria non può pretendere che il contribuente, dinanzi a un bivio, scelga la via che comporta una tassazione “maggiore” in nome dell’interesse dello Stato a riscuotere più entrate possibile e in questo senso esistono a sostegno diverse recenti sentenze della Corte di Cassazione.