Federico Loffredo, il commercialista tecnologico per chi è sempre connesso con il business

di Cinzia Ficco
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Sviluppa robot innovativi per supportare i colleghi consulenti. Veneziano classe ‘66, Loffredo gestisce tutta la sua attività online. «Rendere automatici i processi interni consente agli studi di fare il salto di qualità»

Un diploma in Ragioneria, una Laurea in Economia e Commercio all’Università Ca’ Foscari del capoluogo veneto con una tesi in Statistica da cui si intravedeva la sua intenzione di intraprendere un percorso non ordinario.

«Da ragazzino non ho mai pensato di fare il commercialista. Mio nonno, il mio punto di riferimento anche se è morto quando ero molto piccolo, era un imprenditore e io avrei voluto seguire le sue orme. Il mio papà faceva il tecnico radiofonico, mentre mia madre lavorava nell’impresa di famiglia, ma non si occupava degli aspetti contabili dell’attività, affidati a un commercialista esterno. All’epoca non avevo a che fare con aspetti contabili, per me il commercialista restava una professione sconosciuta. Oggi ho uno studio con dieci collaboratori a Mestre e gestisco tutto online, permettendo ai miei clienti di non perdere tempo. Il livello medio di digitalizzazione degli studi dei commercialisti è molto basso, soprattutto per quanto riguarda il rapporto nei confronti dei clienti. Per questo cerco di sfruttare il mio interesse per la tecnologia a beneficio non solo mio, ma anche loro, proponendo soluzioni innovative per gestirli senza limiti geografici. I clienti, infatti, possono interagire con me anche solo telematicamente, in modo sicuro, senza l’obbligo di dover venire in studio, con tutto il risparmio di tempo e costi che ne consegue per entrambi. Per alcuni questo è stato fondamentale nell’ultimo periodo pandemico».

La sua clientela è diffusa in tutta Italia: liberi professionisti, piccoli imprenditori, artigiani e commercianti. Che genere di servizi offre?

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Photo: Pexel / Kampus Production

Una parte rilevante del mio lavoro è rivolta sempre di più anche ai colleghi commercialisti, per i quali sviluppo robot per l’automazione dei processi interni agli studi e fornisco servizi di outsourcing che spesso su quei robot si appoggiano. Il plus del commercialista è essere anche un consulente, una figura di riferimento a cui si dovrebbero chiedere consigli prima di intraprendere qualsiasi scelta imprenditoriale e professionale e, a volte, anche privata, per evitare, per quanto possibile, problemi successivi. Io cerco di rendere questo servizio ai miei clienti. Gli adempimenti, infatti, sono una commodity che possono offrire tutti, inclusi i software: la differenza sta nel rapporto che il professionista riesce a costruire con il proprio cliente. 

Tra i suoi clienti, si è detto, ci sono gli startupper. Come mai partono in tantissimi, ma in pochi resistono?

L’argomento start up è abbastanza recente. Di sicuro ha reso disponibili molte risorse per progetti anche interessanti. Difficile dire perché molte non abbiano avuto il successo auspicato. L’esperienza insegna che spesso i soldi e un buon progetto, valido sulla carta, si scontrano con le dinamiche del mercato. Purtroppo l’entusiasmo e le buone idee da sole non sempre bastano. Anche avere a fianco dei validi consulenti, pur fondamentale a mio avviso, non sempre è sufficiente. Il mercato, infatti, è una brutta bestia e non sai mai dove ti porterà con le inevitabili conseguenze. Basta guardare in questi ultimi anni l’effetto economico di eventi imprevedibili e, in parte, non gestibili.

Ha seguito casi di aziende in crisi?

La recente introduzione del Codice della Crisi d’Impresa ha sicuramente attivato i meccanismi per l’accensione dei campanelli d’allarme che in molti casi ormai dovrebbero diventare quasi automatici. È quindi importante tenerli monitorati costantemente e intraprendere azioni tempestive per evitare che un semplice indizio d’allarme si trasformi in qualcosa che, se sottovalutato, determini conseguenze molto più gravi per l’impresa. La mia carriera professionale, per scelta, si è indirizzata verso aziende sane, che hanno possibilità e voglia di crescere. Quando mi capita di avere a che fare con aziende in grave difficoltà affianco la mia consulenza a quella di colleghi e altri professionisti specializzati per garantire un servizio adeguato.

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Che approccio hanno gli imprenditori con la tecnologia?

Purtroppo, la tecnologia, che spesso non è certo a buon mercato, viene spesso vista dagli imprenditori e non solo da loro ancora più come un costo, soprattutto in periodi di crisi. Al contrario, dovrebbe essere considerata come un investimento e una risorsa, che col tempo ripagano. Questo è il primo concetto difficile da far capire agli imprenditori. Il secondo punto importante da considerare è che la tecnologia aiuta, ma bisogna aiutarla. Adottare software senza ottimizzare i processi sottostanti è solo uno spreco di risorse, soldi e tempo in primis. Questo è un altro problema che gli imprenditori e anche molti professionisti ancora faticano a capire.

Che tipo di commercialista servirà da qui a una decina d’anni?

Le professioni regolamentate hanno un’evoluzione diversa e per certi aspetti più lenta rispetto a quella di altre professioni. Tuttavia, anche il commercialista deve sapersi adattare ai tempi e imparare a conoscere e utilizzare le nuove tecnologie come, ad esempio, Blockchain e Intelligenza Artificiale, di moda in questo periodo. Credo che in futuro molti studi dovranno rinnovarsi. Questo potrà rendere la professione molto più interessante per molti giovani della generazione Z, nati e cresciuti tecnologici, e che a breve si affacceranno sul mercato del lavoro. Va tenuto sempre a mente, però, che il fattore umano è imprescindibile. Quindi mi sento di dire che sì il commercialista servirà ancora per dare quello che la tecnologia non saprà mai dare. E in questo l’empatia conterà tanto.

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