Una delle situazioni più ricorrenti del fisco è quella delle indagini bancarie.
Avete un conto intestato a terzi?
Non tutti sanno che il Fisco possiede uno strumento fondamentale per reperire informazioni utili ai fini dei controlli fiscali, specie nei confronti dei professionisti.
Si tratta, nel dettaglio, di quella particolare procedura definita con l’espressione “accertamento bancario” benché non si tratti di un vero e proprio accertamento.
Ma allora, avere un conto intestato a terzi, magari alla consorte, ci mette al sicuro da eventuali indagini del Fisco?
La risposta è no.
Esistono norme precise (art 32 D.p.r. 600/1973 e 51 D.p.r. 633/1972) che consentono agli uffici del Fisco di effettuare controlli su rapporti e operazioni finanziare di ogni contribuente.
Questo attraverso la semplice richiesta all’intermediario finanziario, quasi sempre la Banca con cui si intrattengono rapporti.
La Banca deve dare al Fisco informazioni sui nostri conti correnti
Banca che, tra l’altro, non può esimersi dal comunicare queste informazioni all’amministrazione finanziaria.
Anzi, è tenuta con cadenza periodica a comunicare gli estremi identificativi di ciascun cliente, la tipologia di rapporto con esso intrattenuto ed il relativo contenuto.
Questa procedura, definita con l’espressione accertamento bancario benché non si tratti di un vero e proprio accertamento ha un obiettivo ben preciso.
Permettere all’Agenzia delle Entrate di poter entrare in possesso di movimentazioni che non trovano riscontro nella contabilità di un’impresa o del professionista e controllare movimentazioni finanziarie anche se, ad esempio, il correntista non coincide con il soggetto verificato.
In definitiva, se il soggetto sotto osservazione è munito di delega ad operare su conto intestato a terzi, magari alla moglie, scatterebbe in ogni caso il regime presuntivo delle indagini bancarie.
Regime presuntivo delle indagini bancarie: cosa significa?
Che significa regime presuntivo proprio delle indagini bancarie?
Si intendono prelievi e versamenti non giustificati che danno luogo a una presunzione legale relativa, in forza della quale le somme prelevate o versate si presumono compensi/ricavi non dichiarati.
La disciplina sulle indagini bancarie, come si vede, ha una portata molto ampia e, di fatto, consenta all’amministrazione di ottenere una serie di informazioni che si potrebbero definire privilegiate.
Esse, infatti, portano a presumere che ci sia un maggior reddito senza bisogno di ulteriori elementi a supporto.
Tale presunzione opera solo in relazione ai versamenti non tassati, ma non ai prelevamenti non giustificati alla luce della riforma legislativa che ha investito la materia, attuata mediante da L. n. 225/2016, di conversione del D. lgs. 193/2016, stimolata dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 228/2014.
La prova contraria che i movimenti trovino giustificazione nella contabilità
Tuttavia, essa continuerà a operare nei confronti dei titolari di reddito d’impresa, investendo per questa categoria di soggetti sia i versamenti sia i prelevamenti non giustificati.
Ed è qui che il contribuente deve essere in grado di fornire la prova che le movimentazioni bancarie su conto intestato a terzi e contestate dal Fisco trovino giustificazione nella contabilità o concernano fatti fiscalmente irrilevanti.
Ma in cosa consiste, nello specifico, questa prova contraria?
Il terreno si fa minato perché occorre dimostrare l’irrilevanza di ciascuna singola operazione, non essendo sufficienti profili probatori generici. Si possono chiamare in causa dichiarazioni di terzi beneficiari, ad esempio dichiarazioni di familiari che attestino la restituzione di prestiti.
Ovviamente, gli organi accertatori sposano un’interpretazione più restrittiva secondo cui le dichiarazioni di terzi sono prive di rilevanza, se non supportate da documentazione proveniente da soggetti aventi funzione certificativa.
L’interpretazione letterale della norma comporta, in molti casi, la sostanziale impossibilità di difesa.
Specie nel caso di professionisti che, spesso, utilizzano un unico conto corrente per soddisfare interessi personali e professionali.
Ecco perché Agenzia delle Entrate ha specificato che per i professionisti i verificatori debbano astenersi da una valutazione rigida e formale dei dati acquisiti.
Senza trascurare le giustificazioni rese dal contribuente, anche se di natura presuntiva e, dunque, non supportate da dati documentali certi.
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