«Il commercialista è un mestiere impegnativo. Ma chi lo fa con passione, non si annoia mai»

di Cinzia Ficco
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Oltre a gestire tre studi (Corato in provincia di Bari, Roma e Milano), Francesco Leone è consulente direzionale e formatore. «Oggi il cliente è confuso e disarmato nel gestire la propria azienda. Per questo il ruolo del commercialista diventa fondamentale. Il digitale? Velocizza il lavoro, ma azzera i rapporti personali».

 

«Ho sempre voluto fare il commercialista. Così ho deciso di iscrivermi alla Facoltà di Economia e Commercio nel 1988, subito dopo la maturità. E non mi sono mai pentito. Cosa mi affascina di questa professione? La multidisciplinarietà, la possibilità di occuparsi e gestire vari argomenti, la ricerca di continue soluzioni ai problemi dei miei clienti. Non ci si annoia mai. Non sono fatto per timbrare un cartellino e rispondere alle indicazioni di un capo in maniera ripetitiva».

Parla con entusiasmo Francesco Leone – (Corato, 1969) – della sua professione, pur rimarcando l’impegno che l’attività richiede in termini di studio e capacità di ascolto.

«In 27 anni, da quando esercito, la struttura della professione non è cambiata molto. Le macro-aree sono sempre le stesse. Oggi, però, ci sono molti più adempimenti e la materia fiscale domina anche se crescono le aperture e le necessità su altri temi importanti di consulenza (ESG, Digitalizzazione, Internazionalizzazione, Organizzazione aziendale). Modifiche importanti si sono registrate soprattutto nel rapporto tra commercialista e cliente. Sono cambiate le modalità di erogazione del servizio».

Cosa intende?

Prima era principalmente il cliente ad andare dal commercialista, oggi è più una relazione dove è il commercialista a recarsi dal cliente. Nei due anni di pandemia il rapporto è stato mediato dalle piattaforme digitali e dagli scambi via email di documenti. Questa modalità, se velocizza il lavoro e lo rende più efficiente, in alcuni casi toglie anche una parte interessante della professione: lo scambio personale, la conoscenza di luoghi e persone, le esperienze di nuove situazioni. Il digitale velocizza, ma azzera il rapporto.

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Photo: Unsplash / Scott Graham

Cosa chiedono oggi i suoi clienti?

Assistenza a 360 gradi. La complessità degli scenari, la burocrazia invadente, i mille adempimenti e l’elevata tassazione rendono, a volte, il cliente confuso e disarmato nella gestione dell’azienda: per questo, il ruolo del commercialista diventa fondamentale. Non c’è il solo F24. Il commercialista è sempre più un facilitatore di processi aziendali.

Chi sono i suoi clienti?

I miei clienti rientrano nel target delle PMI italiane. Le dimensioni variano fino ad arrivare ad aziende che fatturano diverse decine di milioni di euro e che, in vari casi, sono cresciute con me nel corso degli anni. Si trovano in Puglia, nel Lazio, nelle Marche, in Lombardia e in Veneto. Assisto anche clienti stranieri, soprattutto europei, grazie agli altri miei studi di Roma e Milano e alla mia partnership con la Camera di Commercio Italiana negli Emirati Arabi uniti. I settori spaziano dal retail all’industria manifatturiera, ai servizi di diverso genere fino ad arrivare ad HO.RE.CA e hospitality. Offro vari servizi: contabilità fiscale e bilanci. Controllo di gestione e pianificazione. Organizzazione e compliance aziendale. Marketing e internalizzazione. Ci occupiamo anche di una piccola nicchia sull’art advisory.

Si intitola “L’alfabeto dell’imprenditore” il libro che ha pubblicato nel 2021. Cosa ci troviamo?

Espongo 52 concetti di economia, finanza, management, controllo di gestione, marketing divisi in due ambiti per ognuna delle 26 lettere dell’alfabeto. Penso sia uno strumento fondamentale per una buona gestione aziendale con le nuove sfide che ci attendono. Cosa intendo? Nei prossimi anni ritengo che l’alfabeto dell’imprenditore non possa prescindere da controllo, formazione, digitalizzazione, innovazione, internazionalizzazione, risorse umane. Oltre a margini e utili.

Pensa che la pandemia, la guerra, il rialzo dei prezzi delle materie prime lasceranno strascichi notevoli o, riprendendo il titolo del libro del suo amico, Antonio Stragapede, nota una certa resilienza delle imprese?

Ogni impresa in ogni epoca deve fare i conti con lo scenario macro economico e sociale che la circonda. È sempre stato così. Certo, in questi ultimi tre anni i fattori esterni hanno pesato moltissimo e in modo nuovo e imprevisto. Pandemia, guerra e rialzi dei costi energetici, tutto in contemporanea. Ma questo contesto vale per tutti e ognuno deve affrontarlo in funzione della propria dimensione, del proprio mercato, delle proprie risorse e dello stadio di vita dell’azienda. Una start-up farà scelte diverse oggi rispetto a un’azienda che si avvia alla chiusura per motivi anagrafici. Detto questo, gli strascichi ci sono e ci saranno, molte aziende non riusciranno a sopravvivere, ma per problemi irrisolti, vecchi.

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In quest’ottica, per citare il saggio dell’amico Antonio Stragapede – che contiene una prefazione scritta da me – la “Resilienza” diventa fattore vincente per un’azienda. Ma la resilienza è da costruire giorno per giorno, ponendo le basi per cui un’azienda possa resistere, sopravvivere e rinnovarsi. E per gettare queste basi, bisogna che un imprenditore possieda il giusto alfabeto. Ogni azienda possiede un suo punto di forza. C’è quella che si concentra sull’innovazione continua e la ricerca, quella che si focalizza sull’acquisizione di nuovi clienti con cui far crescere il fatturato. C’è poi quella che ha cavalcato bene l’onda del digitale e dell’e-commerce e quella, invece, che punta molto sulla squadra e sulla formazione dei dipendenti. In generale, quando mi avvicino a un’azienda nuova, non penso mai al settore o allo stato del mercato. Guardo alle caratteristiche specifiche dell’impresa, i punti di forza su cui fare leva. Ovvio, una pandemia – che chiude interi settori – è un evento eccezionale, ma proprio perché eccezionale non va assolutizzato. Nella realtà, ogni imprenditore deve fare un’analisi per capire cosa di buono ha in casa e da dove iniziare per crescere o per tornare a crescere. Con l’aiuto del consulente giusto.

Immagini di fare il consulente finanziario di questo Governo. Consigli utili, su un tema a caso: l’evasione.

In Italia è solo più alta che in altri Paesi, ma è estremamente diffusa in quasi tutte le economie evolute. Detto questo, uno dei modi per combatterla è creare interessi davvero contrapposti tra erogatore del bene o del servizio e cliente finale. Penso al modello statunitense, nel quale il privato cittadino redige una dichiarazione dei redditi simile al bilancio di una impresa. In quell’ottica tutti avrebbero realmente interesse a chiedere fatture e scontrini in ogni caso, per scaricare quanti più costi possibile. Il problema è che la fase di transito deve durare almeno due o tre anni e costa decine di miliardi di euro. Pertanto, è difficile attuarla.

Nel frattempo?

Una semplificazione delle norme tributarie e un reale focus sul tracciamento delle operazioni e delle aree di potenziali operazioni sospette, potrebbe aiutare.

Altro tema: attività illecite.

L’unico freno può essere la prevenzione. Servono il controllo del territorio, la lettura attenta dei dati incrociati e un monitoraggio puntuale e ragionato dei soggetti a maggiore rischio tramite l’utilizzo dei big data.

commercialista-francesco-leoneDebito pubblico.

Ho scritto la mia tesi di laurea quasi trent’anni fa e da allora i problemi non sono cambiati molto. Anzi, sono peggiorati. La questione è tutta politica ed elettorale. Con oltre 800 miliardi di euro di spesa pubblica annua basterebbe una spending review seria intorno al 3-5% della spesa per liberare decine di miliardi di euro l’anno e nel giro di pochi anni abbassare decisamente il debito, il costo degli interessi e la qualità del nostro debito. Nessun Governo ha la volontà e la forza di farlo. L’unico modo per stare in piedi è far crescere il Prodotto interno lordo e per questo ci vogliono le aziende che crescono.

Sulla tassazione elevata?

La questione tasse è direttamente collegata al debito: se non scende il debito, non possono scendere le tasse.

Che ruolo potrà avere tra una decina d’anni il commercialista?

Credo che il commercialista ci sarà e servirà ancora, come succedeva 50 o 60 anni fa. Paradossalmente, il commercialista tornerà a fare di più quello che faceva prima dell’introduzione dell’IVA, ossia il consulente aziendale. Lo farà con nuovi strumenti, nuovi metodi e nuove problematiche, avendo una visione più ampia e un maggiore bagaglio di conoscenze. Ma non dimentichiamo che il cliente del commercialista è rappresentato dalle aziende e non dalla pubblica amministrazione. E finché ci saranno aziende, ci saranno consulenti che le assisteranno.

Ha in mente un nuovo libro?

Certamente. Tra qualche mese sarà pronto il mio lavoro su come utilizzare alcuni dati per gestire meglio e far crescere l’azienda. Non posso anticipare altro!

 

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