Intervista a Giancarlo Coppola, presidente dell’Associazione Nazionale Esperti di Finanziamenti d’Impresa: «Le PMI italiane vanno in crisi per cattiva gestione della tesoreria: usano la cassa dell’impresa come fosse un bancomat per le spese personali e prelevano più utili di quanto in realtà ne producano».
Il top advisor questa volta è specializzato nella gestione di crisi d’impresa ed è anche un formatore. Si chiama Giancarlo Coppola, è calabrese e si è laureato alla Facoltà di Economia e Commercio di Messina. Oltre a gestire da vent’anni il suo studio di consulenza strategica, è presidente ANEFI e componente della Commissione Finanza Reporting del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili.
«Da diversi anni risolviamo problemi nel campo della finanza aziendale – afferma – Facciamo quello che normalmente fa il Chief Financial Officer nelle aziende. Sono a Rizziconi, dove sono nato e risiedo. Ho uno studio secondario nel capoluogo (Reggio Calabria). Il nostro è uno studio boutique. Oltre a me, c’è mia moglie, Palmina, che è una specialista di finanza aziendale e financial storytelling. Insieme assistiamo i nostri clienti con piani di consulenza personalizzati. Aiutiamo le imprese anche a presentarsi al meglio nella ricerca dei capitali di rischio o debito, orientandole in un percorso virtuoso di miglioramento del merito di credito, il cosiddetto rating».

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Cosa intende per azienda in crisi?
Un’azienda è in crisi quando non riesce a produrre risorse, in particolare quelle finanziarie, per far fronte alle proprie obbligazioni o sostenere gli investimenti. Potrebbe trattarsi di crisi da inefficienza, crisi di tipo finanziario, crisi con cause strategiche o crisi di mercato.
Da dove parte per aiutare le aziende in crisi?
Per prima cosa, individuiamo la causa della crisi aziendale, che può avere origine anche da fattori extraziendali, personali dell’imprenditore. Per esempio, abbiamo seguito un imprenditore che non sapeva organizzare il proprio tempo. Gli abbiamo suggerito di usare un semplice strumento di programmazione: la cosiddetta matrice Eisenowher.
Facciamo in modo che il primo incontro con il cliente avvenga nella sua azienda perché lì l’imprenditore è nel suo ambiente, quindi ha la tranquillità necessaria per aprirsi e raccontarsi. Nel corso del primo incontro facciamo parlare l’imprenditore a ruota libera, noi facciamo poche domande. E nella maggior parte dei casi consigliamo di tenere sotto controllo alcuni parametri economico-finanziari che possono anticipare il sopraggiungere di problemi.
Fondamentali il business plan e i vari budget che lo compongono, a partire dal budget di tesoreria. La pianificazione è importantissima, perché consente di simulare vari scenari. In questo modo, se le cose non vanno per il verso giusto, l’imprenditore è preparato e riesce a prendere le decisioni con la giusta serenità, perché ha già vissuto una simile situazione, anche se simulata.
Che differenza c’è tra l’Italia e il resto d’Europa nell’analisi e nella terapia di una crisi aziendale?
Proprio in questo periodo sto partecipando ad un progetto finanziato dall’Unione Europea, da cui nascerà una nuova figura – almeno per l’Italia – l’Early Warning European Mentor, che sarà un soggetto con competenze multidisciplinari e avrà il compito di supportare le imprese a superare fasi difficili.

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Partecipando a questo progetto, che coinvolge esperti di tutti i paesi Ue, ho compreso che l’approccio italiano alla crisi d’impresa è molto diverso da noi anche per differenze culturali. Le piccole imprese italiane, generalmente, vanno in crisi per cattiva gestione della tesoreria, perché usano la cassa dell’impresa come fosse un bancomat per le spese personali e prelevano più utili di quanto in realtà ne producano.
Invece, gli imprenditori del resto d’Europa sono più virtuosi, da questo punto di vista e subiscono la crisi per questioni legate al mercato, alla scarsità di domanda o alla perdita dei clienti. Gli imprenditori negli altri Paesi europei ai primi segnali di difficoltà contattano subito i consulenti e superano prima e meglio le difficoltà. Gli italiani per orgoglio, vergogna e anche un po’ per presunzione, tendono a rinviare la soluzione alla crisi che diventa spesso irreversibile. All’estero, forse, c’è una maggiore e più diffusa cultura imprenditoriale. Credo, però, che molte delle strategie utilizzate negli altri Paesi europei possano essere utilizzate anche in Italia.
Chi sono in genere i suoi clienti?
Soprattutto piccole e micro imprese perché in genere le medie e grandi imprese hanno già uno specialista all’interno. Seguiamo pochi clienti per volta perché diamo un servizio personalizzato, ci concentriamo in particolar modo sulla figura dell’imprenditore, che è, prima di tutto, una persona, con tutti i suoi limiti e le sue debolezze. Per fare consulenza nel modo in cui noi la intendiamo è necessario dedicare parecchio tempo al fianco dell’imprenditore, entrare in sintonia con lui ed essere molto empatici e questo processo non può essere industrializzato, come fanno le grandi società di consulenza.
Cura aziende sull’orlo della chiusura?
Purtroppo, in un gran numero di casi, l’imprenditore, per orgoglio, evita fino all’ultimo momento di rivolgersi ai professionisti che possano aiutarlo. Eppure, molte crisi si possono prevenire. Faccio un esempio: l’imprenditore si trova in difficoltà finanziarie, non riesce ad avere la liquidità necessaria per pagare i fornitori. Sa qual è il primo errore che commette? Chiede un prestito a una banca o l’estensione degli affidamenti, aggravando ancor di più la situazione.
È un caso che ci è capitato di recente, purtroppo con esito infausto. Sarebbe stato un caso facilmente risolvibile, se l’imprenditore si fosse rivolto da noi alle prime difficoltà. Il problema era causato da una errata programmazione del ciclo monetario. Concedeva tempi di incasso ai suoi clienti più lunghi di quanto gliene concedessero i suoi fornitori. Sarebbe bastato negoziare condizioni di incasso e pagamento più equilibrate per risolvere il problema.
Gli imprenditori ascoltano i suoi consigli?
Devono, perché altrimenti non li prendiamo come clienti. Facciamo molta selezione, non accettiamo tutti. Al primo incontro, cerchiamo di capire il carattere della persona che abbiamo di fronte e verifichiamo se si crea empatia tra noi e loro. Poi mettiamo subito in chiaro le regole del gioco. Uscire da una crisi è un percorso difficile che comporta delle rinunce. In ogni caso noi facciamo i consulenti, non imponiamo consigli. Non abbiamo la bacchetta magica o la sfera di cristallo per capire quando la situazione è diventata ormai irreversibile. Ogni azienda è un caso a sé e anche se in letteratura sono stati individuati i valori soglia di determinate variabili aziendali, non è possibile affermare, con certezza, che, superata la soglia di allerta di uno o più parametri, la situazione critica diventi definitiva, perché le variabili in gioco sono tante.
Alcune possono andare anche in contraddizione tra loro e modificarsi anche all’improvviso. Si tratta sempre di valori statistici per i quali vale la regola del pollo di Trilussa. Tuttavia, un indicatore che consigliamo di tenere sempre sotto controllo è l’Economic Value Added (EVA). Questo indice finanziario misura la creazione o la distruzione di ricchezza. Se il valore di questo indice assume costantemente, nel corso degli anni, valore inferiore a zero, vuol dire che l’impresa distrugge ricchezza e a lungo andare arriverà ad azzerare tutte le risorse con crisi irreversibile.
I settori dei suoi clienti?
Nel corso degli anni abbiamo assistito clienti di ogni settore economico. Ci piace fare esperienze diverse ed accettare nuove sfide. Peraltro, non ci occupiamo solo di imprese in crisi, ma anche di startup. E ancora, di imprese in continuità che hanno il problema di programmare una crescita equilibrata e per le quali aiutiamo l’imprenditore a redigere correttamente il piano industriale. Non solo. Seguiamo operazioni di Mergers and Acquisitions con team di diversi specialisti. Lavoriamo in tutta Italia attraverso una rete di relazioni professionali costituita da commercialisti, specialisti in diversi campi della gestione aziendale e collaboriamo tra noi per dare un servizio completo in ogni campo della gestione aziendale.
Ci dice qualcosa di più del progetto europeo che porterebbe sul mercato a figure professionali nuove, come quella del mentor?
Il progetto Early Warning Europe è nato nel 2016, nel programma COSME, con l’obiettivo di creare una rete europea di mentor che offrano le proprie competenze ed esperienze a favore delle aziende in difficoltà. Nel 2022 è stata organizzata e aperta l’accademia di mentoring. Come gruppo italiano dei primi mentor qualificati abbiamo deciso di fare squadra e tra breve verrà costituita un’associazione che avrà l’obiettivo di rappresentare il mondo del mentoring in Italia.
Il futuro della sua categoria?
Nulla è per sempre e i problemi che risolvevamo in passato come commercialisti – gli adempimenti fiscali, ad esempio – oggi vengono risolti dall’evoluzione tecnologica. Rimanere ancorati alle vecchie logiche porterà al decadimento della professione. Dobbiamo cambiare e occuparci, ad esempio, dei temi legati alla compliance ESG, affiancare l’imprenditore nella soluzione della crisi d’impresa, dei temi legati alla competizione nei mercati internazionali, per chiudere con una battuta: dobbiamo tornare a fare i commercialisti.