Cos’è una crisi d’impresa? E, soprattutto, come gestirla? Che tipo di supporto può offrire, agli imprenditori in difficoltà, l’apposita Commissione fondata all’interno dell’Ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili di Milano?
La redazione di TopAdvisors l’ha chiesto a Giannicola Rocca, che guiderà la Commissione Crisi, ristrutturazione e risanamento d’impresa nel prossimo quadriennio e che, presentandosi racconta: «Sono nato a Cosenza, ho vissuto le agiatezze dei figli della provincia borghese e produttiva di una città nella quale ci si conosceva tutti, con i vantaggi e gli svantaggi che ciò ha comportato. La mia generazione è di fatto cresciuta on the road nell’accezione più beat e romantica del termine. Sono un figlio del boom demografico degli anni ‘60 (è nato nel 1966) in un periodo influenzato da tutto ciò che ha cambiato il mondo, ma senza viverlo direttamente. Eravamo appena nati durante il 68’, troppo giovani per i movimenti studenteschi di protesta del 77’. La mia adolescenza è fatta di motorini e motociclette, gare di sci, motocross, passione per la politica e feste in discoteca».
Poi sono arrivati gli studi e l’attività che conduce con grande serietà, ma anche leggerezza. Nonostante si tratti di una professione parecchio impegnativa.
Ho studiato Scienze Politiche, con indirizzo Amministrativo, a Bologna, nella seconda metà degli Anni 80. Subito dopo la laurea ho ottenuto il diploma di MBA – Master Business Administration – alla Scuola di Organizzazione e Gestione Aziendale Sogea, di Genova. Ho iniziato il percorso di MBA subito dopo la Laurea. Ricordo di essermi laureato il mercoledì e che il lunedì successivo ero in aula per seguire il programma formativo.

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Si definisce un tipo che va di corsa, dotato di uno spirito libero. I suoi genitori facevano un altro tipo di lavoro.
Mio padre è stato un medico che ha alternato l’attività di docenza e ricerca universitaria in Microbiologia, con l’attività ospedaliera. Mia madre è stata un’insegnante di lettere classiche molto impegnata nell’associazionismo civile.
Allora, come è nata la passione per la contabilità?
Mentre seguivo il programma MBA, ho iniziato a studiare per diventare commercialista perché sono sempre stato attratto dal mondo della consulenza aziendale. A quei tempi era ancora possibile sostenere l’esame di abilitazione alla professione senza aver svolto il tirocinio, poi diventato obbligatorio. Nel corso del secondo anno di Master, il piano di studi durava diciotto mesi. Ho sostenuto sia la prova scritta che l’esame orale e fra settembre e ottobre del 1992 ho ottenuto sia il titolo di dottore commercialista, che il Diploma MBA. Nel frattempo avevo deciso di trasferirmi da Genova, dove avevo seguito l’MBA, a Milano, città nella quale avevo svolto lo stage finale del Master e, dopo meno di un mese dal conseguimento del diploma di Master, ho iniziato a lavorare nello studio di un collega che conoscevo in modo indiretto.
Pensa che si debbano avere delle peculiarità per fare oggi questo lavoro, senza farsi travolgere dalle nuove sfide?
Mi ritengo un uomo fortunato per svolgere il lavoro che ho sempre desiderato e mi ha consentito di vivere di libertà e gratificazione, le vere molle dell’impegno quotidiano. La nostra professione richiede un impegno e delle doti non semplici. Bisogna essere capaci al tempo stesso di aggiornarsi praticamente per tutta la vita professionale e cogliere le esigenze del mercato, del cliente. Occorre ascoltare e saper imporre, al momento opportuno, le proprie scelte. Come ho sempre detto ai giovani colleghi e a tutti quelli che negli anni hanno collaborato con il mio studio, per svolgere il nostro lavoro occorrono: grandi capacità commerciali, una grande professionalità e competenze distintive da alimentare con la curiosità, lo studio e l’aggiornamento continuo. Non solo, serve una grande capacità di sopportazione dello stress e delle preoccupazioni, generate dalle nostre attività.
Rocca condivide lo studio di Milano, e quindi anche le spese generali, con altri professionisti, commercialisti e avvocati, ciascuno con la propria specializzazione. Si occupa soprattutto di gestione della crisi d’impresa, lavora con aziende e colleghi di tutta l’Italia, assistendo imprenditori, investitori nel capitale di rischio e di credito, fondi d’investimento e intermediari finanziari.

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All’interno dell’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Milano, il suo “core business”, da quindici anni, è la gestione della crisi d’impresa.
Agli inizi sono stato vicepresidente della Commissione Gestione della Crisi d’Impresa e Procedure Concorsuali, con delega alla Crisi d’Impresa. Poi, con la separazione dei due percorsi – uno dedicato al risanamento e al recupero di valore delle imprese, l’altro orientato alla liquidazione giudiziale delle imprese non più risanabili, così come voluto dal legislatore – sono stato designato presidente dell’attuale Commissione, incarico confermato dal Consiglio dell’Ordine per l’attuale quadriennio.
Cosa si intende per crisi d’impresa e cosa pensa degli orientamenti assunti dal legislatore?
L’attuale legislazione in materia di diritto della crisi d’impresa si è prefissa l’obiettivo di pervenire alla ristrutturazione, per quanto possibile preventiva, delle imprese in crisi attraverso la ristrutturazione dei debiti. Il legislatore ha quindi affrontato il problema della definizione del concetto di crisi, intesa come lo stato di difficoltà economico-finanziaria, che rende probabile l’insolvenza del debitore. Si tratta di un elemento definitorio, generalmente richiamabile per ogni debitore, il cui riferimento resta ai debiti che siano prossimi alla scadenza – di cui il piano di azione del debitore deve tener conto – e si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici nel fare fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate. Si tratta di un elemento di natura sintomatica, riferibile specificamente all’attività di impresa. L’ottica dell’emerging insolvency si pone quindi l’obiettivo di rendere manifesta, ossia consapevole da parte dell’imprenditore, la crisi, con la previsione di un intervento interno ed esterno all’impresa, nella prospettiva di un suo possibile superamento, con l’intento di incentivare le possibilità di regolazione negoziale della difficoltà economica e finanziaria dell’impresa. Così si supera il limite riscontrato nella disciplina della legge fallimentare, nella quale mancava una definizione positiva e formale dello stato di crisi, distinto rispetto alla stessa nozione di insolvenza.
Il lavoro di chi si occupa di crisi d’impresa, deve essere necessariamente rivolto a far sì che l’imprenditore e i suoi collaboratori utilizzino gli strumenti predittivi, gli assetti organizzativi, i principi di redazione del bilancio in continuità aziendale, cioè gli elementi di novità del nuovo approccio alla gestione della crisi d’impresa.
Il Governo utilizza in qualche modo il vostro lavoro?
La Commissione si è affermata come uno dei più autorevoli pensatoi del mondo della Crisi d’Impresa. Abbiamo pubblicato negli anni molti quaderni di aggiornamento professionale. Gli ultimi due usciti nel giro di un anno sono stati dedicati agli Strumenti Negoziali che sono diventati un punto di riferimento per i cultori della materia, gli studiosi del diritto della crisi d’impresa, i colleghi e tutti coloro che svolgono una delle tante attività professionali connesse alla stessa tematica.
Come lavora la Commissione?
È organizzata in sette diversi gruppi di lavoro, che si occupano delle materie oggetto della nostre attività professionali:
- Amministrazioni straordinarie delle grandi imprese in crisi
- Crisi internazionali e dei Gruppi di Imprese
- Gestione e valorizzazione dei crediti UTP
- Rapporti con gli investitori nel capitale di rischio e credito
- Sovraindebitamento del Consumatore e dei soggetti non fallibili
- Strumenti di regolazione negoziale della crisi
- Trattamento dei tributi erariali e contributivi nell’ambito del Codice della Crisi e della Insolvenza
La Commissione si avvale inoltre del supporto alle proprie attività didattiche, pubblicistiche e formative dell’Advisory Board, di cui fanno parte alcuni fra i più autorevoli colleghi e accademici di diritto della crisi d’impresa e di materie aziendalistiche: Gianluca Brancadoro, Roberto del Giudice, Giovanni La Croce, Fabio Marelli, Francesco Perrini, Patrizia Riva oltre a Igino Beverini, amministratore delegato della filiale italiana di una prestigiosa investment bank, e Fabrizio Vettosi, che svolge il ruolo di investitore oltre che di advisor. La Commissione ha dialogato sia con la Commissione Rordorf – che ha scritto il Codice della Crisi e della Insolvenza – che con la Commissione Pagni, che ha scritto il DL 118/2021 come modificato con la Legge 147 del 2021.
Le battaglie che si aspetta dalla nuova presidenza dell’Ordine nazionale, targata Elbano De Nuccio?
Il nuovo presidente ha certamente le qualità umane e professionali per rappresentare al meglio gli interessi della categoria. Non conosco i consiglieri che lo affiancano, quindi sospendo ogni giudizio, ma mi auguro che il Consiglio sappia valorizzare le tante eccellenze della professione a prescindere dalla rappresentatività territoriale. Mi aspetto scelte orientate al merito anche nelle Commissioni Nazionali.

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Tre tips per chi voglia intraprendere il suo percorso.
La nostra professione è in evoluzione, e lo è ancora di più la specializzazione di chi si occupa di gestione, in senso lato, dell’impresa in crisi. Penso che un bravo professionista debba avere una visione d’insieme di tutti i temi legati alla gestione dell’impresa, per poter aver un approccio completo. Un professionista che abbia svolto attività di advisoring, partecipando a operazioni di risanamento insieme con altri professionisti, anche affiancando colleghi più esperti, nella qualità di redattore del piano di risanamento, o della relazione di attestazione, o di una perizia connessa a un’operazione straordinaria, o che abbia assunto ruoli apicali negli organi gestori o controllo, penso possa avere quella visione di insieme che costituisce un valore aggiunto nella propria attività professionale.