Gli atti di pagamento partono da una pec non pubblica, piovono ricorsi su ex Equitalia

di Lodovico Poschi Meuron
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Un errore da matita blu da parte dell’Agenzia delle Entrate Riscossione ? Pare proprio di sì, almeno a giudicare dal numero di ricorsi piovuti negli ultimi mesi nelle commissioni tributarie di tutta Italia. Un caso clamoroso che farà discutere a lungo e che conferma la fallibilità del fisco. 

Il motivo di questo corto circuito è semplice. 

Tutte le notifiche degli atti di pagamento in questione, riferite a cartelle esattoriali pendenti, sono partite da una pec (la casella di posta elettronica certificata) non più valida in quanto non iscritta a nessun registro pubblico delle pec. 

La Giurisprudenza certo non aiuta perché esistono sentenze a favore dell’Agenzia e altre a favore dei contribuenti. 

L’incredibile caso di un imprenditore umbro 

Il nodo da sciogliere per i Giudici è decisamente complicato anche perché si sta parlando di cartelle per un valore di 1,4 milioni di euro. 

Il caso più eclatante è quello ai danni di un imprenditore umbro che, fra il 2005 e il 2019, ha ricevuto ben 71 cartelle esattoriali per un importo totale di un milione e 400 mila euro. 

Nel ricorso depositato presso il tribunale di Perugia è stato rilevato che Agenzia delle Entrate aveva utilizzato un indirizzo pec non presente nei pubblici registri previsti dalla legge. 

Da qui la clamorosa decisione di annullare l’intero debito con lo Stato, in quanto quelle cartelle non sarebbero mai state notificate in maniera corretta e di conseguenza l’imprenditore non ne sarebbe responsabile. 

E la legge italiana? Ecco cosa dice 

A regolare questo sistema vige la legge n. 53 del 1994, che all’articolo 3 bis sancisce che “la notificazione in via telematica degli atti può essere eseguita «esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante che compare negli elenchi pubblici (Ipa, Reginde e Inpec)”.

Quindi, nel caso in cui l’atto dovesse arrivare da un’email non ufficiale, è da considerarsi inesistente.

Questa ennesima querelle fra fisco e Imprenditori rischia di deflagrare in modo pesante entro la fine dell’anno, quando il fisco ha in programma di notificare anche il 70% delle cartelle sospese durante la pandemia (approfondisci qui).

Pioggia di ricorsi, accusa e difesa a colpi di leggi e sentenze

Ai ricorsi dei contribuenti, gli enti di riscossione si appellano all’articolo 26 del decreto del presidente della Repubblica 602/1973 (modificato più di recente nel 2017).

Esso specifica che è l’indirizzo pec del destinatario a dover essere presente nei registri pubblici, mentre non si  specifica la condizione dell’indirizzo email di chi notifica. 

Nel 2019, però, una sentenza della Corte di Cassazione ha confermato che anche il mittente ha l’obbligo di inserire il proprio indirizzo pec negli elenchi pubblici. 

In caso contrario la notifica è da considerare inesistente. 

 

Photo: iStock / gesrey

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