Attenzione alle percentuali di ricarico del costo dei prodotti commercializzati

di Lodovico Poschi Meuron
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La percentuale di ricarico, ovvero la maggiorazione che l’impresa applica al prezzo di acquisto del prodotto “finito” allo scopo di determinare il prezzo di vendita, può diventare oggetto di contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Siamo in presenza di un accertamento di tipo induttivo nel quale Agenzia delle Entrate contesta la percentuale di ricarico del costo dei prodotti commercializzati che l’azienda ha invece correttamente utilizzato in dichiarazione.

Massima attenzione quindi alle c.d. percentuali di ricarico.

Questo è un altro tipico esempio di contestazione che Agenzia delle Entrate può muovere a un imprenditore, che dunque riceve un avviso di accertamento in cui, attraverso una procedura di tipo induttivo, vengono contestati ricavi non contabilizzati.

Di fatto, si tratta di un atto che si basa sulle percentuali di ricarico, ovvero la maggiorazione che l’impresa applica al prezzo di acquisto del prodotto “finito” allo scopo di determinare il prezzo di vendita.

Nell’accertamento induttivo il Fisco utilizza una percentuale di ricarico medio

In questo tipo di accertamento l’Agenzia delle Entrate contesta la percentuale di ricarico del costo dei prodotti commercializzati che l’azienda ha utilizzato in dichiarazione.

Il Fisco utilizza invece un altro metro e sostituisce quella percentuale con una percentuale di ricarico media propria del settore merceologico e dell’ambito territoriale di competenza.

La Corte di Cassazione ha invece stabilito un principio secondo il quale l’accertamento dei maggiori ricavi d’impresa può essere affidato alla difformità della percentuale di ricarico applicata dall’imprenditore rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza.

Ma solo dove, si legge, “assuma i caratteri della abnormità e della irragionevolezza, tali da privare la documentazione contabile di ogni attendibilità” (Cass. 18627/2018).

Dunque non basta un semplice scostamento della percentuale di ricarico anche perché le medie di settore non costituiscono da sole una valida prova per presunzioni, ma sono necessari altri elementi.

Anche la Cassazione parla di scostamenti abnormi e irragionevoli

La stessa Cassazione precisa che il ricorso all’accertamento presuntivo è in grado di dimostrare difformità abnormi e irragionevoli.

Ma tali elementi non ricorrono se siamo in presenza di un dato aritmetico che non evidenzia uno scostamento rilevante tra il ricarico applicato e quello medio.

In definitiva, l’avviso di accertamento può rivelarsi totalmente illegittimo.

Facciamo un esempio.

L’Agenzia delle Entrate determina i maggiori ricavi non contabilizzati in 100.000 euro.

Lo fa applicando al costo del prodotto commercializzato dall’azienda X la percentuale di ricarico media pari al 162%, in luogo di quella applicata e pari al 133%.

Ecco, questo è un caso lampante di errore di valutazione che un Giudice Tributario è in grado di verificare e risolvere, annullando le richieste dell’Agenzia delle Entrate.

Come più volte ribadito, le argomentazioni debbono sempre trovare loro fondamento nell’ambito delle più recenti sentenze della Corte di Cassazione (Cass. n. 10643/2018 e 13054/2017) le quali offrono strumenti vincenti per ottenere l’annullamento di avvisi di accertamento.

Questi ultimi, sempre più spesso, si basano su meri indizi (v. percentuali di ricarico) e, come tali, risultano privi dei presupposti richiesti dalla legge ai fini della loro validità. 

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