Quasi annullata la ripresa post pandemia, crescono le PMI a rischio chiusura

di Lodovico Poschi Meuron
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Crescono a fine anno le PMI a rischio default. Lo rivela il Cerved nel suo rapporto 2022, che testimonia come da inizio anno il barometro abbia decisamente puntato verso il cattivo tempo annullando quasi del tutto lo scenario di ripresa post-pandemia. 

Le cause sono fin troppe note: crisi energetica, difficoltà a reperire alcune materie prime e componenti, inflazione tornata sui livelli degli anni ‘80. 

PMI sempre più a rischio default

Il risultato è che l’indice rischio delle piccole e media imprese è in risalita. Quelle che il Cerved stima possano mantenersi in area sicurezza saranno il 35,7% contro contro il 46,7% attuale. Sale l’indice di quelle rischiose dal 5,7% al 7,5% e di quelle vulnerabili dal 13,9% al 20,8%.

I fatturati sono destinati a scenderei in media dell’1%, provocando una vera e propria recessione nel 2023, causata dalla riduzione dei consumi (-0,6%) e dalla stagnazione di investimenti (+1,6%) ed export (+1,9%), con effetti molto più pronunciati nei settori ad alta dipendenza dal gas ed energia.

Nel 2023, in ogni caso, i consumi delle famiglie subiranno una battuta d’arresto (-0,2%), a causa del forte aumento dei prezzi e della contestuale stagnazione del livello dei redditi. La perdita di potere d’acquisto verrà in parte compensata con il ricorso ai risparmi accumulati soprattutto nel 2020.

Il report di Cerved si sofferma sul rischio di default per macrosettori e registra che nell’industria e nei servizi le quote di imprese in area di sicurezza calano rispettivamente di 13,8 e 11,6 punti percentuali (da 58,7% a 44,9% e da 45,4% a 33,8%). È l’industria a registrare il maggior numero di aziende che entrano in area di rischio (+5,1% se si considerano i debiti finanziari), mentre nei servizi crescono quelle in area di vulnerabilità (+8,5%, e +12,8% considerando i debiti finanziari). Contenuto è invece l’impatto per il settore delle costruzioni.

PMI resilienti, ma aiutate da politiche di sostegno

C’è un altro dato estremamente interessante. L’ultima rilevazione risale a fine 2019, proprio alla vigilia dello scoppio della pandemia, e dal confronto con i dati disponibili alla data di chiusura del Rapporto si rileva la resilienza delle Pmi italiane. Tuttavia, c’è da considerare che nel 2020 e nel 2021 le politiche di sostegno messe in atto dai governi hanno contribuito a ridurre i contraccolpi della crisi e anche nell’ipotesi che questa politica attiva prosegua la crisi attuale avrà impatti evidenti.

La quota di debiti finanziari in capo alle Pmi con una valutazione in area di sicurezza si riduce del 15% (scendendo al 27,4%), a fronte del 36% circa in capo ad aziende vulnerabili o a rischio. 

Le piccole e medie imprese sono quelle che hanno sofferto e rischiano di pagare il tributo maggiore. Cerved rileva che le aziende di grandi dimensioni riescono a contenere meglio l’urto della nuova congiuntura, mentre le piccole e le medie risultano più esposte ai nuovi shock legati a energia e inflazione. 

Imprese zombie in crescita. 

Infine, l’analisi del gruppo di ricerca di Cerved punta l’attenzione sulle cosiddette imprese Zombie, cioè non in grado di operare secondo le normali condizioni di mercato, e il resto del sistema. 

A oggi ne risultano attive 13.851 (3.759 in più rispetto al 2021, quando erano calate di 6.708 unità), in particolare nei servizi e dell’industria. Esse presentano una quota di debiti finanziari a rischio del 16,6% nettamente più alta rispetto al resto delle Pmi (5,5%), con un dato in forte crescita rispetto al 2021 (+7,1%).

 

Photo cover: iStock / Igor Stoica

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