Il nostro compito? Sostenere le aziende nella loro crescita, non semplici passacarte

di Lodovico Poschi Meuron
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Secondo Simone Boglietti Zacconi i commercialisti devono diventare collettori delle istanze degli imprenditori, non impiegati che operano per conto dello Stato. Una linea di demarcazione che divide in modo netto due modi opposti di svolgere la professione.

«Per troppo tempo si è visto il commercialista come un semplice passacarte – dice – e magari qualcuno ne ha anche approfittato. Curo il mio orticello, gestisco le paghe, faccio versare le tasse e mi porto a casa lo stipendio da impiegato privilegiato. Oggi tutto questo fa parte del passato».

Lo studio Boglietti Zacconi, a Vercelli dal 2004, nasce per dare consulenza sul lavoro ma cambia pelle rapidamente ampliando la gamma di servizi. Oggi segue aziende da 30 a 500 dipendenti, ma non si è mai trasformato mai in uno studio associato.

«Una scelta precisa – spiega Boglietti – ho preferito fare come il presidente di una squadra che si sceglie i giocatori migliori, per fornire servizi alle imprese con il massimo della qualità».

Primo punto. La burocrazia da sconfiggere.

Vero. Ho vissuto all’estero con la fortuna di conoscere la consulenza anglosassone. Costruita in un contesto dove ci sono pochi balzelli e con l’obiettivo di aiutare davvero le aziende a fare business. Poi torno in Italia e trovo tutto l’opposto: un sistema statico per dare servizi, importanti ma di base, come paghe e contabilità. Ma sa una cosa? Negli ultimi 20 anni i prezzi per questo genere di servizio sono rimasti più o meno uguali o sono addirittura calati, dunque poteva andar bene quando c’era poca competizione e un mercato meno libero.

Che cosa chiede oggi l’imprenditore?

Chi fa impresa, anche se piccola o media, ha bisogno di avere al suo fianco un pool di professionisti, gente preparata in grado di sostenere in modo concreto ed efficace la sua attività. Le faccio un esempio. Nel marzo scorso un’azienda con 300 dipendenti arriva da noi dopo aver litigato col vecchio commercialista. Metto subito le cose in chiaro: qui la gara non è sul prezzo della consulenza al ribasso, ma non avrete di cui pentirvi. E infatti li abbiamo aiutati a portare a casa bandi per 600mila euro, praticamente con noi hanno guadagnato. Ecco, la buona consulenza si paga da sola in termini economici o di prestazioni.

E allora, qual è la ricetta per stare sul mercato?

In natura tutto ciò che non cresce muore e in pieno liberismo la stagnazione è quella che ti uccide. La mentalità italiana secondo la quale starsene in una nicchia ed aspettare gli eventi può essere molto pericolosa per un imprenditore e diciamo che poteva andar bene fino a che si navigava in acque tranquille. E qui entra in gioco anche l’abilità e l’esperienza del professionista.

Come ci si adegua al cambiamento?

Devo dire che il tessuto imprenditoriale sta cambiando rapidamente, oggi esiste un’ampia fascia da 30 a 45 anni meno tradizionalista e più informatizzata. E noi su questo abbiamo spinto molto, per poter lavorare meglio noi e far perdere meno tempo possibile all’imprenditore che invece deve poter curare il suo prodotto. Anche la gestione del personale la facciamo tutta a distanza e mi piace sottolineare che lo studio è certificato ISO 9001: non è un semplice bollino, ma un modo di garantire sicurezza alle imprese che seguiamo.

Come valuta il momento storico che stiamo vivendo?

Una parte fondante del sistema Italia, quello delle piccole e micro imprese, è fragile, rischiamo davvero di volare via al primo soffio di vento. Le faccio un parallelismo: è come se, mentre stiamo giocando una partita di pallavolo, ad un certo punto ci viene detto che dobbiamo passare al calcio, ma senza cambiare le regole. Impossibile no? La tempesta che ci ha investito si abbatte su un Paese che va a tre velocità: i più piccoli sono stritolati dall’inflazione e rischiano di essere spazzati via non tanto per l’aumento delle spese quanto dal calo del potere di acquisto. Poi c’è una fascia intermedia che rischia di chiudere. Assistiamo ad aziende che vengono svendute perché l’imprenditore ha tirato i remi in barca e non se la sente di andare avanti. Risultato? I fondi cinesi e americani sono pronti a fare la spesa per acquisire un tessuto produttivo che in molti casi ha ancora un senso. Infine ci sono le grandi aziende, da 150 milioni di fatturato in su: queste non solo non vengono toccate, ma anzi vedono crescere gli utili perché da anni votate ad un profilo più internazionale.

Che giudizio dà sul nuovo codice della crisi e dell’insolvenza?

Noi continuiamo a legiferare, come se l’Italia fosse un paese nordico, con norme che per educarne uno se ne uccidono cento. Ma quell’uno non lo educherai mai e così congeli il Paese. Il nuovo codice è bellissimo e negli intenti virtuoso, ma totalmente avulso dalla realtà che non è un posto dove tutto funziona. Attenzione, perché se lo vedremo applicare alla lettera allora si rischierà di far uscire dal mercato una grande fetta delle piccole aziende con il rischio di e far saltare il sistema.

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Simone Boglietti
è uno dei professionisti che ha aderito al Network Commercialisti CFC Crisi fiscale d’Impresa. Il network dei Commercialisti CFC Crisi Fiscale d’Impresa permette di superare la crisi fiscale d’impresa, spesso fonte di problemi sia di natura economica sia di carattere penale tanto per gli imprenditori, quanto per i professionisti. Grazie a strumenti come gli Accordi Ristrutturazione dei Debiti e i Concordati preventivi con la Transazione Fiscale è possibile ridurre il proprio debito fiscale e commerciale anche dell’80%, con la possibilità di pagare il restante 20% nell’arco di 3 o 4 anni. Una grande occasione per trasformare i problemi in opportunità.

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